Non c’è pace per l’agricoltura pugliese. Anche la stagione 2022 dell’uva da tavola è cominciata molto male.
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Ai produttori pugliesi, l’uva viene pagata una miseria, appena 50 centesimi al chilo; la stessa uva, però, nei supermercati va dai 2 ai 5 euro al chilogrammo, fino a 10 volte di più rispetto a quanto riconosciuto agli agricoltori. In pratica, la GDO scarica su produttori e consumatori le sue politiche di marketing, sia quando propone il sottocosto sia quando accelera con i prezzi.
“I produttori pugliesi di uva da tavola sono a terra, la situazione è pesantissima, per questo abbiamo incontrato Donato Pentassuglia”, ha dichiarato Giannicola D’Amico, vicepresidente vicario di CIA Puglia.
Nei giorni scorsi, il sindacato degli agricoltori aveva richiesto un incontro urgente con l’assessore regionale all’Agricoltura per discutere dell’emergenza uva da tavola e di altre importanti questioni. Pentassuglia nel giro di poche ore ha risposto alla richiesta. “All’assessore regionale all’Agricoltura, abbiamo chiesto di aprire un tavolo di crisi e confronto anche con la GDO su uva da tavola e ortofrutta: è sempre più alto il rischio che tante aziende disinvestano, si ridimensionino e chiudano definitivamente con conseguenze drammatiche”.
La Puglia è la prima regione italiana per numero di aziende, quantità e qualità della produzione di uva da tavola. Il dato complessivo regionale si attesta su una superficie di 25.085 ettari utilizzati e una produzione di 6.400.000 quintali. La provincia di Bari, da sola, registra 10.750 ettari utilizzati e una produzione annuale pari a 2.332.000 quintali, ma i numeri e la qualità sono rilevanti anche nel Tarantino, con dati importanti inoltre in provincia di Foggia, nella BAT e nelle province di Brindisi e Lecce.
Si tratta soprattutto di reddito, posti di lavoro, un’economia che è motore trainante del nostro export, una ‘industria a cielo aperto’ che dà da mangiare più dell’Ilva. Nell’incontro con Pentassuglia, CIA Puglia è tornata a chiedere azioni e opere strutturali per affrontare la questione siccità e, soprattutto, le lacune cinquantennali rispetto a infrastrutture e tecnologie a uso irriguo.
I dati sono sconcertanti.
La mancanza d’acqua ha già causato rese inferiori fino al 40% per il grano, dal 15 al 30% per il pomodoro, con previsioni di raccolti inferiori fino a un terzo per la prossima campagna olivicola. Rese minori anche per l’uva, e non solo.
“Occorre un piano idrico-irriguo capace di far diventare sistematico il recupero delle acque reflue in favore dell’agricoltura ed è fondamentale potenziare numero ed efficienza non solo degli invasi, ma anche della distribuzione irrigua a costi sostenibili. I Consorzi di bonifica commissariati devono funzionare e avere una gestione che veda in prima fila gli agricoltori e il mondo dell’agricoltura”